Allora, comincio, come non si dovrebbe cominciare… metto le mani avanti e ci tengo a dire che ho accettato di raccontare della nostra famiglia, solo perché la richiesta è arrivata da una cara amica a cui non so dire di “no”. Quindi, se qualcuno sta leggendo, ti prego, sii clemente.
Allora, cosa mi preoccupa? A dirla tutta un bel po’ di cose:
1: potrei metterci una vita… da dove comincio?
2: devo parlare degli affetti miei più grandi e so per certo che affogherò nelle emozioni e niente renderà ragione al loro essere per me il centro del mondo e manco riuscirò a seguire un filo logico.
3: ho l’innata capacità di suscitare nelle persone con cui parlo (esclusi quelli fortemente comprensivi), reazioni che sfociano in frasi del tipo “ma come parli?!” o “ma cosa dici?!” – ultimo, lo psicologo dell’asl agli incontri post adozione che aggiunse pure un “signora, lei deve maturare!”, (ma, per la cronaca, anche a me, comunque, lui non piace poi tanto).
4: … e siamo sicuri che a qualcuno interessi qualcosa di quello che sto per scrivere???… no….
Perché la storia, quella più interessante, quella vera, ve la dovrebbe raccontare mia figlia.
Ma si da il caso però che lei ha tre anni e quindi ci debba provare io.
Quante menate mi faccio? Tante… forse perché prima di arrivare qui, ho passato anni pressata da operatori dell’asl, qualcuno bravo, ma qualcuno a mio giudizio, anche no. E ancora mi capita durante gli incontri per il post adozione, di uscire da quelle stanze senza averci capito un tubo, altre volte esco chiedendomi se stanno indagando su eventuali nostre possibili implicazioni mafiose, a volte mi chiedo se magari pensano che Laura Palmer potrei anche averla uccisa io… spesso ne esco, ancora provata.
Insomma “non siamo piaciuti” sempre.
So che capita anche ad altri.
Non è che la cosa mi consoli, per l’amor di Dio, ma mi consola pensare che di persone conosciute nel percorso dell’adozione così tanto disgraziate come a volte mi hanno fatto sentire, io non ne ho incontrate.
Ma va bene anche così, tanto poi il conto lo presenteranno i miei figli (gli unici ad averne il diritto) e sono sicura che anche loro non saranno sempre clementi!
Quindi “presente all’appello!”: Rachele, 40 anni, mamma di tre figli; il primo arrivato grazie a un bel taglio cesareo, il secondo più “naturalmente” col supporto di qualche dose di epidurale, per la terza siamo saliti su un aereo, destinazione Mumbai.
Rispettivamente, 7, 6 e 3 anni.
Cioè, per me, pure, una fatica!
Prima della gravidanza di Gio, una “non idoneità” dal Tm. Motivazione: dovevamo indagare una eventuale sterilità, se ci fosse stata, elaborare almeno un anno di lutto, se non c’era chiederci nuovamente “ma perché?”.
Non condividendo le ragioni espresse dal Tm, presentammo ricorso in appello e contemporaneamente ci sottoponemmo ad indagini mediche (perché alla fine, sappiamo anche metterci in discussione).
Risultammo per il medico “con qualche problema di infertilità” (ma almeno non ci fece troppe domande), per il tribunale “idonei”.
Mi ritrovai incinta di Giovanni.
Dopo poco dalla nascita di Gio, arrivò Giacomo.
Poco dopo l’arrivo di Giacomo ci preparavamo a cercare quella meraviglia, nata in India due anni dopo Jack che si chiama Arfi.
Sognavamo tre figli.
E alla faccia di qualche operatore, che ancora si chiedeva “ma perché?” e questa volta poteva pure aggiungere “ne avete già due…”, il Tm ci diede l’idoneità. Almeno, potevamo andare avanti (… e tanto mica ci saremmo fermati!…)
Menate… quante menate mi sono fatta??? dubbi, domande….
Giuro. Non me lo ricordo più.
Perché se il pianto di un neonato significa che questo sta bene che entra ossigeno nei suoi polmoni, il pianto di una bambina di quasi tre anni, che sente mancarle l’aria, terrorizzata alla nostra vista, un adulto lo comprende e ne comprende le ragioni, ad una mamma gli si accartoccia (come minimo) lo stomaco, perché è così, una mamma lo sente, gli rimbomba in ogni cellula del suo corpo.
“Piccola, hai ragione! Anch’io avrei paura (seeee… terrore!!!!!) se mi stesse capitando quello che stai vivendo tu ora”
Via!!!!!!!!! Via, dalla tua vita, dai tuoi affetti, dalla tua didì che per te è la tua mamma, dai tuoi amici.
“Piccola l’unica cosa che posso dirti è che noi ti amiamo tanto e ti ameremo per tutta la vita! Io per te farei di tutto, tutti i giorni! E se piangerai per un ginocchio sbucciato, un pugno dato da compagno d’asilo, sappi che la mamma se potesse si farebbe rompere un braccio pur di non vedere le tue lacrime….”
E come suona strano… oltre a non essere possibile, ti trovi a raccontarlo ad una bambina che neanche capisce la tua lingua. E allora provi a cantare, l’abbracci, un po’ piano però, per non spaventarla di più… e poi prendi l’antibiotico per il mal di stomaco, di pancia e magari anche di gola, lo prendi per provare a stare meglio, ma la verità è che starai meglio quando lei sarà almeno un po’ rilassata.
Un neonato dimentica il dolore nel venire al mondo, un bambino di tre anni non dimentica ciò che si prova nell’essere catapultato in un altro mondo. Ci sono facce nuove e sconosciute, lingue differenti, odori mai sentiti e cibi mai provati. E per quanto tu ci provi a fare del tuo meglio, per un certo periodo che sa sempre di “lunghissimo”, lui si sente solo. E deve tirar fuori tanto coraggio.
E capitava che mi sentissi inadeguata, ingiusta, “brutta”, a volte la pazienza mi abbandonava, anche troppo presto. Mi dicevo che “fare del mio meglio” non era abbastanza e sapevo pure che avevo ragione. Avrei voluto essere “meglio”!…e non lo ero… non sempre.
Ma qui capisci che il tempo per le tue menate è finito, davanti ad una paura così grande: la sua, tu non puoi più permetterti di avere paura!!!!!!!!!!!
L’India con noi si è comportata bene, ha terminato tutte le procedure in un tempo ragionevole, otto mesi dopo l’abbinamento, un mercoledì di maggio acquistavamo quattro biglietti di andata e cinque di ritorno “Milano-Mumbai” –“Mumbai-Milano”. Partivamo il venerdì. Già perché il tempo, durante l’attesa non passa e poi in tre giorni devi partire!
Credevo di non farcela. Ce l’abbiamo fatta!
E il momento più bello dell’incontro di noi cinque? L’avvicinarsi di Giovanni e Giacomo alla loro sorellina, nella stanzetta dell’istituto in cui abbiamo passato due giorni, con un caldo tremendo, tra cubi da impilare, pennarelli e palloncini che a nulla servivano per convincere Arfi che non eravamo poi “così male”, l’hanno abbracciata, l’hanno accarezzata. E poi hanno giocato. Loro parlavano la stessa lingua, quella del cuore, senza troppe menate, ma con delicatezza, e anche loro, seppur bambini (come ci siamo abituati a pensare…) capivano.
Capivano anche la paura, ma soprattutto alla loro sorella loro volevano già bene. Avevano deciso tempo prima di accoglierla e forse non l’avevano deciso, era così e basta. E così doveva essere.
Ora, non si sarebbero più picchiati e litigati in due, adesso sarebbero stati in tre!
E lei di loro si è fidata… un po’ di più.
Allora, una delle chiavi per accarezzare un cuore spaventato è l’istinto! (ecco perché mi suonavamo male tutti quei “ma perché???”).
Se ho capito qualcosa in più diventando mamma è che loro “non sono miei”, ma io sono diventata loro! E in questo che differenza c’è tra un figlio partorito ed uno partorito da un’altra donna?… nessuna!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Adesso in casa nostra c’è ancor più casino!
Mio marito non sempre capisce perché la sera io non abbia neanche la forza di parlare, io mi arrabbio di più con mio marito e lui (incomprensibilmente) non ne capisce il perché (io sono sicura sia una strategia maschile!), fra poco più di un mese tornerò al lavoro, la casa è grande, tre figli, due cani e due pesci rossi…
Ma caspita… il nostro è il nostro sogno che si è realizzato.
E un vaff… brodo a tutti quelli che ci chiedevano “ma perché?”, prima, dopo, all’asl, al supermercato. Ma perché non potevo immaginare una vita più bella!!!!!!!!!!!!!!avevamo ragione.
Giovanni e Giacomo l’hanno capito subito. E anche Arfi poi si è fidata!
E’ facile? Macchè e chi l’ha mai pensato.
Sono tutti è tre special needs… siiii!!!!abbiamo le allergie, l’ipermetropia, l’ipocusia, disfunzione tubarica, disturbi del linguaggio, cicatrici corneali e tante altre particolarità!
Ci sono i due daltonici, la piccola mancina come la mamma e Giacomo. Vari disturbi psicologici per “crescita”, ma ancora siamo lontani dall’adolescenza.
Comunque stiamo tutti bene!
Non è una provocazione, è perché quando una cosa la si affronta sembra sempre più piccola di quello che si credeva. (…”quando la paura bussò, il coraggio aprì e vide che non c’era nessuno”… finalmente ho capito il significato di questa frase!).
Crescendo sono diventata un’esperta nel fasciarmi la testa prima di romperla. Ecco, volevo dirvi, la prima stupida sono io.
Ora, scusatemi per la forma (magari anche un po’ per la sostanza), non leggo più molti libri, i blog sono più veloci nei ritagli tra la logopedia del secondogenito, nei due minuti se vengono concessi, in bagno e in pochi altri ritagli… quindi non so manco più scrivere bene.
Un abbraccio a te che sei sulla strada per realizzare il tuo sogno.
Aprile 2017
Rachele